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L’antica terra mia

Ph. | isabellabello.com

Percorro con il tempo

l’antica terra mia,

da quando fu dimora

dell’uomo primitivo.

In antri naturali,

in grotte ben scavate

si rifugiò d’istinto

quel migrator errante.

Su’ ripidi pendii

d’una gravina fonda

difese dell’insidie

la propria sussistenza.

Fu scopritore del fuoco, levigatori di pietre,

s’emancipò con culti,

metalli, campi colti.

L’impulso d’avventura

portò in questa terra

Pelasgi e Achei

e Popoli del Mare.



Si fusero d’incanto

virtù, valori, sfide;

fiorì con la concordia

la civiltà ellena.

Di Roma fu amica,

nemica di barbarie,

respinse con fierezza

viltà e tirannie.

In cripte bizantine

con la pietà contenne

la mal desolazione

dell’imperial rovina.

Normanni, Svevi, Franchi

regnarono sovrani:

l’antica terra mia

sognò altri destini.

L’ispanico dominio

impose duro giogo:

subì l’aspro regime,

ma non fu resa schiava.

Non si macchio d’infamia

neppur con i Borboni:

non barattò diritti,

onore e libertà.

Anch’essa fu Comune

nel regno dell’Italia,

al vento del progresso

alzò una bandiera.

Seguì la patria sorte,

non disertò le guerre:

ancor piange la morte

di tanti figli suoi.

È quella di Ginosa

l’antica terra mia,

la Storia ne disvela

l’intrepido valore.

Dal libro “Canti liberi – Raccolta di Poesie” 

Autore: Pietro Tamburrano



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