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IL PAGLIAIO SULLA SPIAGGIA

Alla fine degli anni quaranta, si incomincio a frequentare Ginosa Marina, o (25) Prima non era possibile per via della “malaria” che imperversava in tutta la zona del litorale, secondo, per il conflitto mondiale, e terzo il più importante, la situazione economica, altro che la crisi attuale, la gente al mattino presto andava in cerca di qualcosa da mettere in tavola per i bambini.

(ma questa è un’altra storia).

Una quindicina di giorni prima di andare al tanto sospirato mare, mia mamma con le mie sorelle, preparavano la pasta, con una macchinetta, facevano tanti tipi di pasta, la essiccavano al sole, per poi metterla in dei sacchetti di tela bianca, e per il pane? E allora incominciava l’andirivieni dal forno di Pietruccio, a infornare le friselle, poi sfornarle tagliarle a metà e reinfornarle, la quantità doveva bastare per una ventina di giorni. Finalmente arrivava il momento di partire, alla sera mio padre preparava il traìno, riforniva il lamparo di petrolio, una porzione in più di biada al cavallo, la mattina verso le tre, pronti per partire, mia mamma ci prendeva in braccio ad uno ad uno, e senza svegliarci ci adagiava sul “letto” del traino Al mattino da lontano si incominciava a intravvedere una massa immensa di acqua che luccicava in modo da rimanere senza fiato, mai vista in tutta la mia vita (6 anni), avrei voluto essere aiutato a guardare, non riuscivo a saziare gli occhi da tanta bellezza, mia mamma mi chiese “ti piace?”, non riuscii a rispondere, per non distogliere lo sguardo. Il pagliaio fatto di canne con il tetto di tela incerata, era situato a circa 10 metri dalla battigia, al mattino mia mamma ci preparava l’uovo alla coque, la condizione che ci era imposto che se non lo finivamo niente mare, così in un batter d’occhio lo finivamo, e tutti a giocare nell’acqua limpida e cristallina, i servizi igienici nella pineta retrostante, al mattino ognuno con la pala in spalla andava ad assolvere i propri bisogni, al ritorno però erano tutti carichi di pigne secche, le quali servivano da combustibile, per cucinare le vivande. Le friselle si bagnavano nel mare e i delfini che ci facevano festa con i loro richiami C’è ne stavano a centinaia. Sulla spiaggia oltre noi, abitavano le famiglie dei pescatori stagionali, queste famiglie venivano dalla Calabria per la pesca delle alici, al mattino al ritorno dalla pesca, gli uomini riposavano mentre le donne pulivano le alici sulla battigia per poi sistemarle in dei vasi di terracotta smaltate (u capasiello). Capitava che insieme alle alici venivano presi anche dei pesci non idonei alla salatura, le signore alla sera in delle enormi pentole preparavano delle favolose zuppe con questi pesci, e con fare di grandissima ospitalità ci invitavano alla cena tutti intorno a un grande falò con la legna raccolta nella pineta, e che emanava un profumo che ancora oggi capita di risentirlo da qualche parte sento un tonfo al cuore, e il pensiero corre subito a quei tempi che non torneranno mai più. Gli unici abitanti di “25” eravamo noi vacanzieri stagionali, il guardiano del faro Barbarossa, i pescatori Calabresi che lavoravano le alici sotto sale, un capo stazione e due ferrovieri.

Autore: Giovanni Zicari


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