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La storia vive. La “Terra del Rimosso” e i fatti del 4 novembre 1922

La vittoria a Ginosa, alle elezioni comunali del 1920, dei Popolari, capeggiati dall’ex socialista avv. Rodolfo Sangiorgio che diviene sindaco, impone il rispetto della tassa sul bestiame che gli agrari sono finora riusciti a eludere e che reagiscono con la costituzione di una Sezione del fascio di combattimento che raggiunge in poco tempo duecento iscritti.

Il partito dell’Amministrazione comunale risponde con una sezione “Nazionalista” di trecento aderenti. La tensione fra i due gruppi, per “questo ed altri fatti”, è molto alta. A settembre del 1922 a Taranto ci sono scontri tra fascisti e nazionalisti culminati nella morte del nazionalista ginosino Peppino Viesti ammazzato a pistolettate in piazza Archita e le cui esequie si svolgono in paese sotto la scorta di carabinieri, con l’opposizione dei fascisti locali. Segue un mese di scontri che inducono le istituzioni provinciali di pubblica sicurezza a portare da tre a venti il numero di carabinieri che presidiano la caserma. La sera del 30 ottobre, giunta la notizia dell’incarico a Mussolini di formare il governo a seguito della marcia su Roma del 27/28, i fascisti occupano il Municipio reclamando le dimissioni del sindaco, che le rassegna, e della Giunta. Il pomeriggio del quattro novembre un corteo di circa duecento fascisti in camicia nera, attraversa il Corso principale per dirigersi verso il monumento ai caduti, passando davanti al municipio occupato. Una denotazione proveniente da qui e dovuto allo scoppio accidentale di una bomba a mano di un fascista occupante, che ne viene ucciso, scatena la caccia all’uomo fra i dimostranti che ne attribuiscono la colpa ai nazionalisti. I quali, asserragliati con armi nella loro sezione, rispondono derivandone un tafferuglio che diciannove carabinieri cercano di sedare. Mentre alcuni fascisti cercano di incendiare la casa del sindaco e altri si spargono nelle strade alla ricerca dei nemici, un manipolo di dieci assalta la caserma difesa da un solo gendarme e si impadronisce di otto bombe a mano che fa scoppiare fra la folla uccidendo due donne e tre giovani sui vent’anni.

Probabilmente fra le vittime ce n’è qualcuna di una faida familiare e un delitto privato si maschera da politico. Il 17 dicembre i fascisti ginosini chiedono per questi delitti a Mussolini la grazia, che viene concessa, accomunando fra i “patrioti” fascisti, nazionalisti e privati. Il 23 febbraio del ’23 l’Associazione Nazionalista Italiana si fonde con Il Partito Nazionale Fascista. Gli ex nemici diventano alleati. Sui cinque morti cala il silenzio; parlarne non conviene a nessuno.

La rievocazione storica di quell’evento va incontro all’esigenza della comunità ginosina di recuperare la memoria, per cui Ginosa è il luogo fisico in cui collocare il rimosso. “La terra del rimosso” allude anche ad un territorio dell’anima tra le cui pieghe si annidano le paure nascoste di ognuno e che quando escono dal profondo possono generare mostri.

E tanne se ne zumbuò ogni feldure

e ‘u fièzze se spannì d’ogni pertuse,

la mmèrde se n’assì d’a fugnature.

Si tratta della “banalità” del fascismo quotidiano, quello stato d’animo per cui quando si percepisce o si suppone la lesione dei diritti fondamentali quali il proprio “territorio”, la proprietà, la sicurezza, la reazione è aggressiva e ogni altro principio passa in secondo piano.

Esso può alludere, per altri versi, a quel territorio in cui sono collocate tutte le espressioni della vita e dell’arte che nel corso del tempo sono state relegate ai margini della coscienza e che afferiscono in specie alla cultura orale.

In questo senso il Sud rimane ancora la terra del rimosso, nella cui cultura sono sedimentati elementi antichi e a cui può ancora rivolgersi l’uomo contemporaneo come alla parte profonda e feconda del suo inconscio.

Circola nella rievocazione storica, così come nella ballata popolare che la ispira, una sorta di spirito dionisiaco come “archetipo della vita indistruttibile” che il potere nelle sue forme più becere tenta di imbrigliare o negare. Così come nelle “Baccanti” di Euripide il potere, nella persona di Penteo re di Tebe, viene travolto dalla follia indotta da Bacco, nella realtà storica la tragedia viene precipitata da una ubriacatura durante un pranzo offerto da un agrario locale ai fascisti occupanti il Municipio. Il testo della sceneggiatura e la regia recuperano quegli elementi propri della cultura contadina, che le religioni succedutesi hanno aggiornato e fatto propri attraverso miti e riti. Si pensi ai cicli delle stagioni, con la morte invernale della natura e la sua resurrezione primaverile, al rinascere del sole dopo le corte giornate del solstizio d’inverno. Il fascismo diventa il lungo inverno che non impedirà alla vita e alla libertà di risorgere.

La presenza del Sacro rappresentato dal coro delle “Pie donne” sottolinea la religiosità che accompagna l’uomo che esprime i suoi diritti al lavoro, alla liberta, alla dignità e l’humus di cui quel mondo si nutre. Un viaggio nella Mediterraneità di cent’anni fa ci farà incontrare altre realtà umane nel mondo contadino, di cui noi ci diciamo eredi. Incontreremo uomini, la cui quotidianità è tessuta dalla ritualità, il cui ritmo di vita è scandito dalle stagioni, dalla semina e dal raccolto; le norme dettate dai proverbi, il lamento funebre finalizzato a rendere più lievi le separazioni, i conflitti risolti dal passaggio all’atto, immersi nella “cultura della vergogna”. Un mondo che mantiene intatta la sacralità del rapporto col creato. Protagonista della rievocazione è la banda musicale che ha accompagnato quel mondo nei momenti cruciali della morte, i funerali, e della vita, le feste patronali. L’evento si svolge attraverso tre sequenze principali organizzate dall’intervento del cantastorie:

  • Focus sul mondo contadino descritto attraverso il coro in cui si fondono la voce del narratore e una voce che potremmo definire proveniente dall’inconscio. E’ la sacralità del diritto ad una vita dignitosa per ogni essere umano che viene ribadita attraverso la il canto e la musica. Ad esso contrasta il potere degli agrari che ritiene immutabile il suo ordine, quasi fosse una legge della fisica e che per questo legittima il fascismo.
  • Inizia il corteo dei fascisti, rievocazione di quello storico del 4 novembre 1922, con la banda che accompagna il suo inno. Figuranti e spettatori si incamminano insieme a indicare che passato e presente si possono fondere:

Aprite l’uocchie/ e appuzzetate le récchie

ca so passate già/ quàse ciénd’anne,

e pote paré a ccì sénde/ robba vécchie;

pote turnà arrète/ cè sùccedi tanne.

 

Evento vicino al vecchio Municipio dello scoppio accidentale della bomba ad un fascita occupante.

     3) Tafferugli conseguenti e uccisione di tre giovani e due madri.

La realizzazione di tale evento avviene tramite l’adesione di diverse associazioni e cittadini che hanno prestato il loro tempo e professionalità.

 

Comunicato stampa a cura del giornale La Goccia

Pubblicato da Circolo Arci "Il Ponte" – Ginosa su Martedì 30 ottobre 2018

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